Qualche tempo fa al Virgilio (il mio ex liceo) la polizia è entrata, si è portata via quattro studenti e ne ha arrestato uno: forse spacciava, forse aveva una canna, forse era uno studente, forse no.
Al di là di tutto (tutto che non ho la minima intenzione di trattare) più leggo articoli e botta e risposta su questa faccenda più penso che in generale, su tutti i fronti, la scuola ha alzato le mani: i bambini delle elementari si picchiano o prendono in giro i bambini “diversi” (per un motivo o per un altro)? Sono i genitori che devono educarli. Gli stessi nanerottoli scrivono troppo grosso troppo storto? C’è “l’esperto” che fa una diagnosi e somministra la brava terapia fatta di rinforzini per le risposte corrette. I ragazzi più grandi si passano le canne (o le pasticche, dipende dalla scuola) in cortile? Si chiama la polizia. A questo punto c’è da chiedersi effettivamente DI COSA si occupi la scuola, a parte gli invalsi e le date della prima guerra mondiale…e la risposta io la so. E non vi piacerà.
Quando arrivi in una scuola superiore di periferia, in una zona notoriamente “difficile” hai la fortuna di vedere un meccanismo che a dispetto della scarsità di fondi e mezzi della scuola in questione è lucidissimo e funzionale. E’ lo stesso meccanismo presente in altre realtà ma se nelle zone più “fortunate” o nelle scuole per i più piccoli riesce a sfuggire alla vista perché non è così spudorato nelle scuole degli sfigati si vede benissimo. La scuola del 2000, in Italia, è uno strumento chirurgico con uno scopo: la selezione di classe.
La diagnosi, tendenzialmente, è una: “non scolarizzati, non scolarizzabili”. Si tratta di ragazzi e ragazze che fanno casino, che vengono da famiglie sfasciate, composte da delinquenti o da persone con pochi mezzi (in tutti i sensi), che si mettono a spacciare, che rispondono male agli insegnanti, che non studiano e non si comprano i libri (né le penne, tanto per capirci). Questi sono i soggetti che, secondo un caro vicepreside che ho avuto il piacere di incontrare, “devono essere eliminati”. Come si eliminano? Si comincia consigliando ai genitori di far cambiare scuola all’alunno/a: ho parlato con una serie di ragazze e ragazzi che mi dicevano di essere stati bocciati allo psicopedagogico o al linguistico e di essersi poi iscritti all’istituto tecnico. Vi sembra normale? Non lo è o meglio lo è se consideriamo la scelta della scuola come una scelta del tutto trascurabile, che non deve tener conto dei desideri dell’adolescente, figuriamoci poi dei suoi sogni per il futuro. Ecco, i sogni sul futuro: faccio una fatica bestiale a trovarli, per lo più quello che mi viene detto, quando chiedo di “sparare alto” è: “vorrei fare la professoressa/l’avvocato/il tatuatore/il medico/il calciatore MA NON E’ POSSIBILE” e quando chiedo perché non è possibile 9 volte su 10 la risposta è una scrollata di spalle o un ancor più lapidario “mi ha visto?”. COME ci si arriva a questa risposta? I professori consigliano ai genitori NON di far seguire il figlio da uno psicologo e/o da qualcuno che lo aiuti nello studio ma di iscriverlo in una scuola dove si studia MENO. E voi direte “sarà contento l’adolescente fancazzista di studiare meno!” Certo. E’ contento. E mentre è contento si rende conto del suo essere irrilevante e incapace, un inetto che ha da essere felice del suo studiare poco e del suo frequentare una scuola di merda.
Ecco. Sappiate che mentre noi laureati ci diciamo tanto spesso che laurearsi non è servito a niente perché non abbiamo trovato il lavoro che volevamo i ragazzetti delle scuole sfigate credono al fatto che se studi hai più possibilità di scegliere un lavoro migliore. Ci credono e consapevolmente (o meglio, caricati di una falsa consapevolezza altrui) si fanno da parte.
Ci sono genitori che, forse subodorando la fregatura, non fanno cambiare scuola ai loro figli. A quel punto si tira una leva diversa e quello che si fa è provocare sapientemente adolescenti che hanno poco controllo di sé (qualità già di per sé non proprio abbondante a quest’età) finché non scattano e nel momento in cui questo succede parte la sospensione. Una, due, tre, quattro e in men che non si dica sei arrivato a superare il numero massimo di giorni d’assenza e la bocciatura è assicurata: il ragazzo o la ragazza si ritrovano in una classe composta di studenti più giovani, perdono il legame (già difficile, visti i tipetti in questione) che stavano instaurando con i compagni precedenti, sono fin da subito sorvegliati speciali (poi ti ci voglio vedere a non essere paranoico), non sentono di avere particolari motivi per venire a scuola o seguire le lezioni e si ricomincia da capo, in un rimpallo di scuola in scuola, di classe in classe che ha un solo obiettivo: far arrivare l’adolescente a 16 anni che così SE NE VA.
Vi sembra che io stia esagerando? Non è così. Pensate che io abbia ragione ma che non ci sia la messa in atto volontaria di una logica così spietata? VI SBAGLIATE. Ci sono senz’altro scuole virtuose, nessuno lo nega, e professori che fanno del loro lavoro una missione da educatori (e ne ho incontrati alcuni che si sbattono come uova in condizioni allucinanti) ma io ricordo quanto mi sentissi protetta dal mio status di alunna e se guardo la scuola di adesso, dalle elementari alle superiori, vedo una gigantesca decespugliatrice che taglia rami ancora verdi ripetendo come un disco rotto “non sta alla scuola occuparsi di questo, non sta alla scuola occuparsi di questo”.