Dare e avere. Perché Aristotele aveva ragione a perderci tempo.

Non so se posso io annoverarmi tra i buoni ma so di sicuro che è lì che ti colloco. Così come sono certa di volere il tuo bene sempre e di ritenerti (a ragione, RAGIONISSIMA, e nessuno potrà mai convincermi del contrario, nemmeno tu) una delle persone migliori non solo della mia vita ma della vita di chiunque: so che sei rispettoso dei sentimenti altrui, che quando sei in te lo sei anche dei tuoi, so che condividi la mia paura e alcune delle mie certezze, che sei capace di vedere il bello dove non lo vede nessuno e il brutto quando è venuto il momento di prenderti i tuoi 20 minuti (o 20 giorni) di cinismo e di “odio tutti”.

SO che

-la cosa che mi piacerebbe di più fare è cantare con te, così come so che non lo faremo mai anche se abbiamo entrambi trascorsi (e presente, nel tuo caso) in questo senso perché ci si vergogna. Entrambi.

-un giorno sono entrata in un ospedale e ti ho trovato lì e ho scoperto che a non tutti i romani il mio senso dell’umorismo sembrava acidità: ridevi, ridi, con gli occhi socchiusi. Ti faccio ancora ridere, tu fai ridere ancora me.

-mi guardi in faccia e mi chiedi cos’ho fatto e non ho nemmeno un’ombra di imbarazzo nel dirti che ho pianto per due ore. Non sento alcun giudizio, tu sai chi sono. Sai che sono una roccia e sai che sono una tenerella del cazzo. So che riderai davanti a questo “del cazzo”.

-anche se ci vediamo a piccole dosi sei sempre nei pensieri, che se ti dico “ti penso” tu mi capisci, che la tua risposta “anche io” è esattamente corrispondente a quello che so.

-hai rispetto per la mia vita senza compatirmi e sei in grado di rintracciarci quello che sono oggi, così come so che il nostro modo di parlare di quello che gravita intorno al lavoro ci permette di spiegarci senza  subordinate.

-non smetterò mai di averti presente nella testa e nel cuore: come pietra di paragone, come consigliere costante, come prova del fatto che a lanciarmi nel mondo faccio bene perché esistono le persone come te, persone come te che possono voler bene a una come me. Ne esistono anche altre, per le quali non resta che provare pietà perché non sanno essere generose, non sanno mostrare curiosità per il prossimo loro ma lo vedono solo come un riflesso di sé. E tu puoi dire quello che vuoi sulla tua insofferenza ma non sarai mai così povero.

-la tenerezza è sempre lì sopra le nostre teste e non è mai melensa. Quando io sono con te e tu sei con me IO sono con TE e TU con ME, e non ce n’è.

-che se non ci fossi, se non ti avessi incontrato, camperei sicuramente bene. Ma non avrei la fortuna che ho.

-che lo sai che sto parlando di te.

 

Per mettere insieme i pezzi

Ci eravamo appena trasferite e io avevo deciso di provare il forno facendo un dolce. Il forno in questione è un vecchio forno a gas che non dispone di alcuna manopola della temperatura (un terno al lotto quindi) e quindi avevo optato per una torta rigirata che non sarebbe cresciuta molto a causa di 1)la presenza di poco lievito nella ricetta e 2)grossi tocchi di kiwi nell’impasto. Insomma, l’importante era che fosse cotta, non che fosse soffice.

Guardo l’orologio, inforno…e poi mi viene in mente che nella nuova casa non c’è nemmeno uno stuzzicadenti per controllare la cottura della torta, così mi consulto velocemente con la coinquilina mora, annuncio “vado a chiedere uno stuzzicadenti ai vicini!”, apro la porta e suono.

Mi apre un bel ragazzo moro in mutande/costume che si sta infilando una maglietta: senza fare una piega (mentre io mi limito a pensare “oh toh.”) mi invita a entrare mentre io cerco di spiegare che mi serve uno stuzzicadenti perché sto facendo un dolce perché il forno ha questo problema e insomma non volevo disturbare. Mi viene dato un buon quantitativo di stuzzicadenti. Torno a casa. Sforno la torta. Porto fette di torta nella casa del vicino che scopro essere uno di tre.

Comincia così la storia del Buon Vicinato, del gruppo su whatsapp, dei pomeriggi passati a leggere insieme e a discutere di rifugiati, d’amore, di sesso e di come si dovrebbe vivere, delle cene a portar e via dei momenti di “decompressione” di cui tutti sentiamo il bisogno, motivo per cui ci autoinvitiamo gli uni a casa delle altre dopo una lunga giornata di lavoro.

Ultimamente il Buon Vicinato è il luogo che mi permette di ricompattarmi dopo l’ennesimo viaggio in treno dal quale tendenzialmente torno che non so più dove sono, chi sono e cosa faccio. Il Buon Vicinato è il tavolo rotondo dove io riesco a sentirmi pienamente a Roma, gentilmente accettata, è il divano scomodo da cambiare quanto prima sul quale ci si siede a sentire I DISCHI (dischi dischi, non cd), è la dispensa dei siciliani che ti offrono sempre da mangiare, è la cucina in cui ho preparato i biscotti di Natale e nella quale vado a cuocere tutti i ciambelloni del mondo. E’ casa, non in casa, e non so come farei senza.