Erase and rewind

E se dicessi che tornare a Milano è un tentativo sovrumano di tornare indietro nel tempo e di rimettere la mia vita sui binari dai quali deragliò 17 anni fa sarebbe più facile capire perché più si avvicina la partenza più mi sembra di abbandonare qui mio padre?

Suo fu il motivo per cui ci trasferimmo, sua la morte in questa città, suoi i successi professionali nella capitale. Cancellando tutto io non cancello le mie persone romane ma cancello una scelta, bollandola definitivamente come “sbagliata”. Se sentite odore di senso di colpa nessun errore, è proprio quello.

Quest’anno al Pigneto è stato un anno in cui io e Roma abbiamo però fatto pace: questo quartiere vero, questa casetta mia, queste persone nuove e meno nuove e riscoperte sono un arto che mi taglio volontariamente ma che continuerà a prudermi. Tutto quello che è successo in questa casa mi ha fatto vedere me stessa e il mondo in una luce nuova. Come potrei non esserne riconoscente? Come sarebbe potuto accadere altrove nello stesso modo e con la stessa compagnia?

E quindi grazie papà, grazie casetta, grazie amichetti, grazie coinquiline, grazie Nano, grazie a tutti quelli che sono arrivati, restati, partiti. Grazie al tramonto sull’isola pedonale, al mercato del mattino, alle viuzze che non sembrano una metropoli, alle passeggiate in compagnia e a quelle solitarie, alle chiacchiere notturne e alle cene improvvisate. Non so ancora quale sarà il prossimo posto che potrò chiamare “casa” ma comunque vi porto tutti con me. E torno presto.

L’importanza di muoversi in anticipo…

…è del tutto sopravvalutata, visto che poi va a finire che sei in ritardo COMUNQUE. Per fare un esempio, prendiamo una brava ragazza milanese emigrata a Roma che comincia a cercare casa a Milano fin da giugno per settembre: all’inizio ti dicono che è troppo presto, che ancora non c’è nulla, poi ti scontri con i prezzi (i prezzi! I prezzi! Ma state male di brutto! 400 euro per un posto in doppia?!?) delle stanze, poi trovi due coinquiline per cercare casa, poi cerchi casa mentre le due coinquiline sono in vacanza, poi trovi una casa che piace a una delle due coinquiline (alla quale non piace quella che piaceva a te che era in un edificio industriale e io capisco che non puoi tirar fuori la campagna da una ragazza e quindi  OK vada per l’altra anche se mi hai raccontato una cazzata a proposito del proprietario che non voleva abbassare l’affitto), poi le due future coinquiline ti comunicano alle 10.30 di sera che hanno capito di non avere questa necessità impellente di trovare casa, roba che metterei loro sul conto il costo dei millemila compeed antivesciche che ho usato in quella tre giorni delirante, che la sera mi facevano COSI’ male i piedi che non sono uscita e ho ordinato un panino gigante che sicuro ha minato la mia autostima depositandomi chili di maionese sui fianchi, nei fianchi, per i fianchi.

E ci ho pure l’analista in vacanza.

 

In conclusione

giorno 3 app.1

Ok, dite quello che volete ma a me i lavandini della cucina in ceramica fanno un po’ impressione. Mi danno quest’aria di precarietà che in una vita già precaria mi disturba. A parte questo la zona di Lambrate ci piace tanto, così come tanto ci piace l’idea di vedere i treni dalla finestra. Sfortunatamente però la carta da parati (che va tolta), le prese elettriche con due buchi (“è già a norma, ma comunque l’elettricista vedrà tutto lui”) e le stanze un po’ troppo piccole per contenere la mia scrivania (bambina ti amo ma sei un cazzo di problema) mi fanno sentire una nonnina piena di naftalina in un armadino piccolino. Niente, energia sbagliata… o forse la verità è che ho già scelto e sto sperando che anche quella che ho scelto abbia scelto me.

giorno 3, app. 2

Quella che ho visto è una casa da vita parallela. In questa vita parallela io non ho mai lasciato Milano, la mia vita è più facile perché mio padre non è mai morto in un incidente d’auto, io ho preso subito psicologia e grazie ai contatti sul territorio milanese posso ampiamente permettermi questo gioiellino a ringhiera, con le travi a vista, le zanzariere alla finestra, la sua stanza mansardata al piano di sopra e la sua aria da radical chic di sinistra che vive nel quartiere multietnico. Probabilmente avrei preso una casa simile nel periodo in cui gli affitti non mettevano in luce la mancanza di senso della misura e della realtà dei milanesi che possiedono una casa. 780 euro (più 170 di spese) in un quartiere dove ci sono ancora le sparatorie per strada sono sintomo di delirio d’onnipotenza e tutto quello che posso fare è odiare i maledetti bocconiani, con la loro facilità nel mollar giù 700 euro per una singola. Odiare loro e odiare i padroncini, che mi fanno più impressione di quelli che i soldi li hanno VERAMENTE.

giorno 3, app. 3
Ultima casa. Mi viene un po’ l’ansia: da un lato la tentazione di continuare a cercare, dall’altra quella di finirla qui e lasciare le cose nelle mani del destino e delle mie coinquiline. La casa è una vera casa, dà su una bella piazza (cercasi lepre pazza) e il canone è onesto. Più o meno. Diciamo che lo è per essere Milano (state pensando di trasferirvi qui? Non fatelo a meno che non abbiate serie premesse di un lavoro retribuito o risorse altre ben pasciute). A differenza dell’altra casa (che pure mi piace) questa ha un’aria da casa vera e forse per questo mi piace meno, per il resto nulla da eccepire. La piazza è bella. La zona pure. Servita è servita. Peró… mah. È una casa da famiglia, da famiglia tranquilla, e le mancano quella quantità di spazi sociali e di aria bohémienne che tanto mi piace dell’altra.

Chiudo questa tre giorni intensiva con una riflessione: qualche anno fa guardavo gli affitti di Milano e di Roma e mi sembravano una presa in giro, perché la prima pur essendo meglio collegata costava meno. Ora, non so se per via dell’Expo o se perché la vita a Milano causa Pisapia è notevolmente migliorata, la situazione è invertita e mi sono ritrovata a sbattere il naso contro la speculazione e senza nemmeno avere Pisapia. Per parte mia non mi resta che augurarmi che quanto si dice del lavoro al nord sia vero: che è più facile trovarlo e che le retribuzioni sono più giuste. Il resto ce lo dirà il tempo.

Nel mezzo del cammin.

giorno 2, app.1 

Rosico. Rosico perché l’appartamento è l’appartamento che vorrei potermi permettere, se non fosse che quelle 4 stanze in realtà sono 3 stanze e un francobollo, perché nella camera di “servizio” ci riuscirebbe a vivere appunto solo quello. Mentre esco da quella casa, abitata da due giovani con due gatti e un poster di Mao che mi fa venire un sacco voglia di diventare amici per la vita l’altro tizio che è venuto fin da Napoli a cercare casa per la sua famiglia (una moglie e 4 figli divisi equamente in maschi e femmine) sta praticamente chiudendo il contratto. Va bene Viola, al prossimo giro di boa magari…

giorno 2, app.2
Vorrei ma non posso, ma stavolta si parla dei proprietari: vado a vedere questa casa per 4, di 160 mq, 4 camere da letto con il salotto, vicina a Caiazzo, canone 1375 + 375 di spese di condominio. La cucina non c’è. Uno degli scaldabagni si è rotto e l’idea è di fare il collegamento da un bagno all’altro in modo di utilizzare un unico boiler e non comprarne un altro. Lo scarico della lavatrice non c’è. Guardo in alto e vedo una macchia, il tipo mi dice che  c’è stata una perdita che è stata riparata ma che nessuno si sogna di imbiancare. Stessa scena da apocalisse per quanto riguarda le luci strappate dai loro alloggiamenti. Mi guardo l’immobiliarista: “1200. se devo imbiancare, prendere la cucina, inventarmi lo scarico per la lavatrice in cucina e montare le luci non di più” e quello mi risponde “abbiamo già dovuto abbassare di tutto quello che potevamo”, “e di quanto avete abbassato?” chiedo. “200 euro”. Conclusione: quanto sono contenta di avere un padrone di casa (ancora per un mese) che se non altro SA come fare l’uomo ricco.

giorno 2, app.3

Siamo in una zona di confine, una zona che sta tra Isola e Dergano. In questa terra di nessuno, in questa novella isola che non c’è, quello che non manca è una compagnia assicurativa, che possiede un palazzo così ben isolato da essere fresco senza aria condizionata. Visito prima un trilocale che costa 100 (non scherzo) euro in meno del quadrilocale e poi entro nel quadrilocale che 1) costa poco (circa 390 incluso condominio x 3) e 2) é privo di cucina, luci e lavatrice. sento che però si potrebbe fare, con qualche sacrificio (tipo chiedendo a Rebi di insegnarmi a montare le lampade, tanto per cominciare). l’immobiliarista al solito tenta di mettermi fretta parlando di millemila accordi praticamente già presi, io nicchio e chiedo un appuntamento per la mia coinquilina. E fine giorno 2.

Qui comincia l’avventura

giorno 1 app. 1

Corvetto è il quartiere dei matti: c’è quello/a che parla da solo/a al bar, il paninaro con il cappellino che mi augura una buona giornata con l’inchino, quello convinto che tu lo stia pedinando. L’appartamento dà sull’autostrada del sole, perché squadra che vince non si cambia e a Roma vivo sulla tangenziale. No vedo platani qui, però.

L’immobiliarista è un anziano che continua a chiedermi se aspetto qualcuno (forse la mamma). Quando gli dico “no” per la terza volta si arrende e mi porta su, in uno stabile all’ingresso del quale c’è un cartello che recita “non si apre la porta agli sconosciuti” (“non si accettano caramelle” forse stava dall’altra parte). L’appartamento: ci ha il terrazzino, ecco. Per il resto mobili non se ne possono spostare, il che vuol dire che le mie librerie mi costringerebbero continuamente a “rimettere a posto la candela” e le stanze sono piccole e tristanzuole. Inoltre l’autostrada non solo c’è ma mi lascia un po’ perplessa la questione del “c’è l’aria condizionata, non c’è bisogno che apra le finestre”: è così che ti sei mantenuto giovanile? in sottovuoto? Avanti il prossimo.

giorno 1 app. 2: 

La padrona di casa mi sta già sul cazzo, la tipa dell’immobiliare mi ha già detto che probabilmente la casa non mi piacerà, la casa è senza cucina e in ultimo pare che la proprietaria volesse persone con contratto a tempo indeterminato: la mia risata, che è stata bella lunga e profonda, non sembra essere stata recepita.
L’appartamento è bello e grande, la zona… anche. In casa non solo non c’è la cucina ma qualcuno ha divelto tutte le luci: il verdetto è chiaro fin dall’inizio ma faccio la scena di proporre un abbassamento dell’affitto in cambio della promessa di comprare e poi lasciare cucina e quant’altro e l’immobiliarista (una piccola squaletta bionda tutta sorrisi e denti) mi dice “la signora non è interessata al vostro lascito”. Bene, non siamo interessate alla signora. Avanti un altro.

giorno 1, app. 3

La zona è Centrale, nel senso della stazione. Mi piacciono le zone delle stazioni, mi danno sempre l’idea di essere luogo per pochi eletti, anche se qui non sembra necessario avere molto pelo sullo stomaco: la zona è tranquilla e la casa è dei proprietari dello stabile, dentisti (e io che ero convinta che i dentisti preferissero le barche, agli immobili). Ci piace, il costo è un po’ alto ma l’immobiliarista mi ventila la possibilità che mi facciano uno sconto per il primo anno. Va bene. Tanto siamo in tre, almeno una riuscirà ad affascinare il figlio del padrone, no?

giorno 1, app. 4

Piazza Aspromonte, quanti ricordi… quanti ricordi di milanesi stronzi. Entro in una casa abitata da tre ragazze cinesi che hanno riempito l’appartamento fino al soffitto con sacchetti di carta e scarpe: rivendendo la metà della roba camperei un anno. Il ragazzo dell’immobiliare ha credo 18 anni e un giorno e già ha preso lezioni avanzate di razzismo e tatuaggi, ha un orrendo doppio taglio lungo parecchio e schiarito (DIO!) e suda in quel completo in una maniera paurosa: passo i primi tre minuti a guardare il suo naso, sul quale trema una gocciolina di sudore. Sul portone incontro inoltre un omone di 67 anni che sta facendo vedere gli appartamenti per la sorella dell’altro proprietario: i due fratelli non si parlano e hanno proprietà diverse e questo tizio mi dà l’aria di volermi parlare così, finita la visita dell’appartamento, mi fermo e lo aspetto. Quando torna nonno mi dice che ha un bel quadrilocale in centro. Prezzo? 1700 euro. Come ritardare inutilmente il mio sacrosanto pediluvio.

Chi ben comincia… 

…è a metà dell’opera. Poco chiaro è se chi comincia si trova con le due future coinquiline che non sono a Milano perché hanno pensato fosse del tutto concepibile andare in vacanza e non tornare o andarci PROPRIO nei giorni in cui ho preso 10 appuntamenti perché sono molto “stressate”. 

Alla voce “stressata” del dizionario c’è la MIA faccia, bella. 

Comunque, visto che a completa è perfetta capacità organizzativa può anche corrispondere la totale inettitudine dal punto di  vista della condivisione ho deciso di prenderla alla leggera e lanciarmi in questo giro turistico con animo gaudente: 3 giorni, 10 appartamenti, 10 agenti immobiliari diversi. Comunque vada, sarà un successo.

Hai diritto di restare indietro

Ho fallito. Non sono entrata in un’enclave dove sarebbe stata una buona cosa entrare, un’utile mossa. Mi hanno valutata e mi hanno detto “no grazie”. Sto cercando disperatamente qualcosa dentro di me che mi dica che ci son rimasta male e non trovo NULLA perché non c’avevo sbatti.

Avrei potuto intitolare questo post “il dramma del bambino dotato”, ma sarebbe sembrato da un lato troppo arrogante e dall’altro non si sarebbe nemmeno avvicinato alla spocchia REALE che ne sta determinando la scrittura: da brava bambina (una principessina, con le maniche a sbuffo) figlia di intellettuali (voci autorevoli sostengono addirittura che mio padre fosse un genio) sono stata adeguatamente stimolata. Ho imparato cose e qualcuno ieri mi ha detto che ne so tante, leggo tanto, parlo tanto, penso tanto. Sono tanta, nel mio 1.58, eppure mi sono sempre tirata indietro nel momento in cui mi sentivo tirata troppo SU, come un mulo tirato per le redini su per la montagna. “Il prossimo anno dovresti fare i concorsi”, diceva la prof di violino. “Sei dotata, dovresti fare le gare”, diceva l’istruttore del maneggio. “Sei troppo intelligente per non fare politica”, mi ha detto mio padre qualche settimana prima di morire.

Come si dice, fatevelo voi. Mi sono fatta due anni di scuole medie dove ho rischiato di brutto di diventare un fenomeno, vista la tristezza della mia vita sociale. Fortunatamente le cose sono cambiate, è arrivata Roma che mi ha permesso di reinventarmi tutta da capo, ho riscoperto quanto fossi brava nelle relazioni umane e se proprio dovete darmi una medaglia datemelo in questo. Sono entrata nel territorio piacevole della “quasi norma”.

L’idea di una sottoscritta violinista è simile alle unghie sulla lavagna, NON SO disegnare e la mia capacità di capire la matematica è piuttosto base. E questo mi va BENISSIMO. Ho sempre pensato che mio padre, il genio, fosse molto più intelligente di me e adesso non ne sono più così convinta: se volessimo fare un paragone prendendo come esempio la forma fisica di due persone credo in effetti di essere IO quella con più muscoli, quella geneticamente benedetta, solo che mio padre andava in palestra tutti i giorni, io invece mi limito a farmi un giretto in montagna ogni tanto e qualche camminata, o una mezz’oretta di pilates tanto per gradire.

Sono quella che “è intelligente ma non si impegna” e saperlo fare ha richiesto un costante esercizio di libero arbitrio.

In Germania non si cucina tutto con il burro.

Ma quasi.

Da due settimane abbiamo in casa questo incantevole ragazzo tedesco: free-kkettone (così si definì scherzando), tecnico informatico, dotato di un cespuglio di rasta pulitissimo e tenuto insieme in modo meticoloso con frequenti sedute di uncinetto (giuro), Simon è diventato una sorta di quarto, delizioso, coinquilino.

Spinta al solito dal mio desiderio di mettere gli ospiti a loro agio gli ho proposto di cucinare per noi (se vi sembra strano dovreste sapere che ad altri ho chiesto di lavare i piatti e proprio con lo stesso proposito) e il biondo fanciullo si è prestato volentieri, mettendo sui fornelli una quantità notevole di pentole e tegami. Il menù, rigorosamente tedesco (che mi proponi a fare roba thai che sei di Amburgo e sei biondo con gli occhi azzurri e ti manca solo la mascella quadrata), prevede:

  1. Maiale. La sovrachiappa del maiale, per la precisione, bollita con patate e alloro per ALMENO un’ora e mezza. Le salsicce con la senape sono state escluse perché io sono allergica alla senape e Simon mi ha guardato come se gli avessi detto che sono allergica all’aria.
  2. Crauti. Comprati in barattolo e messi in pentola sono stati cosparsi di sale perché perdessero l’acqua e poi cotti nel vino: grammi di burro circa 300.
  3. Purè di piselli: grammi di burro circa altri 300
  4. Purè di patate rigorosamente ottenuto da patate bollite e germanicamente schiacciate: grammi di burro…meglio non pensarci.

Prevediamo di pranzare verso l’ora del the, di continuare a mangiare crauti per più di due giorni affrontando così in modo soft la mancanza del nostro nuovo amico crucco e di continuare a chiacchierare di cucina con molti gesti e poche parole visto che abbiamo scoperto di conoscere un sacco di vocaboli inutili in inglese ma di non avere idea di come tradurre “rosolare” e in generale qualsiasi termine che riguardi la preparazione del cibo.

Ma, come si dice, All you need is butter.

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Preghierina della sera

Caro Lare di questa casa,

chiunque tu sia, proteggi la nostra dimora a prescindere da dove andremo.

Proteggi Dori dai suoi fantasmi, mettili a dormire una volta per tutte e permettile di vivere nel presente.

Proteggi Shirley dalla sua ombra che le tende tranelli e dalle modo di esibirsi nei voli che é nata per fare.

E proteggi me, che nella mia armatura trovi il modo di lasciare entrare quello che per molto tempo é stato lasciato fuori.

Caro Lare, seguiranno sacrifici di capretti e anche se saranno un barbecue diciamo che valgono lo stesso.

05/06/2016

Sono da poco passate le 23 e anche quest’anno ci sono risultati elettorali da attendere, risultati che mi terranno al computer per buona parte della notte… e pensare che quest’anno avevo pensato di non partecipare alla giostra generale.

Era ottobre e ricordo benissimo il momento in cui ho pensato di poter essere fiera del mio sindaco, del sindaco della Capitale: nemmeno due settimane dopo ci sarebbe stata una bizzarra riunione da un notaio e il sindaco che tanto mi piaceva, il “marziano” che adesso si vede spesso in Feltrinelli, veniva mandato via in un clima che chiamava vendetta.

Ho sempre votato, io. E ho spesso (sempre? Quasi) votato “utile”, dove l’aggettivo indica l’utilità di dare il proprio voto a qualcuno che non ti piace tanto ma che comunque sembra meglio del disastro totale. Io (e altri come me) SONO e SONO STATA “responsabile”, con buona pace di Scilipoti che avrebbe da controllare il dizionario per trovare l’aggettivo che meglio lo descrive. A noi elettori di sinistra si è chiesto spesso e volentieri di essere “utili”, di offrire i nostri scrupoli in sacrificio sull’altare del “meno peggio” e alcuni (molti) di noi si sono adattati di conseguenza, spaventati dall’alternativa (che ERA orrida eh, che CONTINUA a essere orrida).

Poi abbiamo votato (io, tipo) per le primarie del PD: era andata in una certa maniera. Le politiche hanno travolto quella “certa maniera”, ribaltando tra le altre cose anche il risultato di quelle primarie: al secondo giro di boa la base ha votato tutt’altro. E siamo entrati nell’era dei notai, ecco.

Torniamo a ottobre: ero contenta, pensavo che con tutti i vespai che stavano venendo fuori a Roma se la situazione fosse riuscita a rimanere almeno lontanamente governabile QUALCOSA sarebbe successo. E in effetti qualcosa E’ successo ma sfortunatamente nulla che potessi augurarmi: è arrivato il Commissario e come si dice…fine dei giochi.

Aspettavo lui, aspettavo il Marziano. E non ero l’unica.

Il marziano però non si è visto (e in effetti perché avrebbe dovuto, un’uscita del genere non poteva in alcun modo permettere che qualcuno che era stato buttato fuori dalla finestra cercasse di rientrare dalla porta) e quindi…e quindi non avevo alcuna intenzione di votare. Mi ero rotta le scatole di votare utilmente, di essere responsabile al posto di altri, ma soprattutto mi ero sentita MOLTO inutile, in tutta la mia utilità. Mi ero sentita come tutti gli altri, tutti quegli altri che avevo sempre cercato di “tirare su”, di “contagiare” e dai quali mi ero dovuta difendere a spada tratta perché non contagiassero loro me, per difendermi dalla depressione, dal qualunquismo, dalla rabbia dura di comprendonio. Mi è costato fatica e nel corso degli anni ho perso la voglia di parlare di politica per difendermi, figuriamoci se avevo ancora le energie per cercare di CONVINCERE qualcuno. Quindi non mi sono sentita solo inutile, ma anche prosciugata. A caso, pure.

Così a questo giro, approfittando del fatto che avevo esaurito tutti gli spazi sulla tessera elettorale, avevo deciso di non votare. E ho difeso questa mia decisione, con l’arroganza di chi può dire “NON mi fare i soliti discorsi, io non sono la solita elettrice piagnona, se IO dico che non vado a votare TU devi farti due domande sul perché continui a dire che io e te ci dovremmo andare.”  Ho detto che non sarei andata a votare e ho sentito i rimproveri degli amici ma ero convinta che nulla avrebbe potuto farmi cambiare idea…e sbagliavo.

Sono andata a votare e ho deciso di farlo nel momento in cui qualcuno ha FESTEGGIATO la mia astensione come prova del mio aver “finalmente capito” la verità: che sono tutti uguali, che è tutto una merda, che mi ero attardata fin troppo in un mondo di farfalline e uccellini che anche lor vivrebbero in casette. A 33 anni finalmente ero giunta alla sacra consapevolezza, riunita con i saggi, i furbi e gli sgamati, libera finalmente del giogo genitoriale che mi voleva militante, idealista, speranzosa.

A QUESTO PUNTO

  • Sono arrivata all’ufficio elettorale per rinnovare la tessera e ho scoperto di aver lasciato a casa il documento
  • Tornata a casa e recuperata la carta d’identità scendo e trovo il tram. Rotto, sulle rotaie, con una fila di altri tram dietro che non possono avanzare
  • Vado a prendere la metro, i tornelli non leggono il mio abbonamento e non c’è nessuno nel gabbiotto, quindi mi tocca comprare il biglietto

MA

La mia risposta è stata un sonoro “vaffanculo” e sono andata a votare, perché ogni giorno voglio potermi riconoscere, viva e vegeta.